Le nostre case piene

Sarà felice il maggiore colosso svedese di vendita al dettaglio di mobili e complementi per la casa dato che avrà forse visto i ricavi aumentare spaventosamente nell'ultimo anno. Ci ha aiutato la pandemia a capire che non è solo facendosi rosolare dal sole maldiviano raccogliendo telline che si può stare bene. Nelle nostre case possiamo creare un vero microcosmo, un piccolo mondo. Tanto che stiamo diventando restii a liberarci anche delle suppellettili più inutili perchè racchiudono il ricordo e il profumo di quel mondo normale, fuori dalle porte, di un anno fa. Riempiono pareti, scaffali e abituano l'occhio a guardare, come da un finestrino di un treno in corsa. Appendiamo quadri al muro, scritte adesive o stelline luminose. Cambiamo lampade, vasi, rimoduliamo gli spazi, ottimizzando quell'angolo buio dove prima imbucavamo le scarpe vecchie, e altre cianfrusaglie, pena l'espatrio del nostro coniuge per mancanza di spazio. Se la pandemia ha svuotato strade, scaffali al supermercato e perfino le espressioni dai volti, ha, di contro, riempito le nostre case di colori e oggetti, dando uno stop al minimal trend. Come in un vernissage di culto, abbiamo puntato sull'estetica del "tutto intorno al democratico divano", prima monopolizzato e ora condiviso con figli e partner, che quasi ti viene voglia di comprarne uno nuovo di zecca. La pandemia non ha fatto altro che accelerare un cambiamento già in atto. Una rivoluzione aggraziata, a volte stucchevole ma pur sempre nostra. 
Gli Italiani hanno convogliato i loro risparmi in modo trionfante, con la volontà di rendere letteralmente più bello e più normale il mondo da dentro. Se non può essere bello quello fuori, cambiamo il pavimento o il colore delle tende, dipingiamo la cameretta o liberiamo quella stanza diventata ripostiglio del "di tutto e di più". 
Non c'è un telecomando in grado di accelerare i tempi per uscire dalla pandemia e sicuramente facciamo fatica a sopportare la lentezza di questo duemilaventi inciso anche nelle nostre cicatrici, quindi tenterei con il consigliare un vagabondaggio dentro casa. Anche se non si studia antropologia culturale si può davvero scoprire come fare un viaggio a chilometri zero, vivere in modo alternativo, dove le identità si affastellano senz'ordine ma in una meravigliosa bellezza. Quasi quasi quella statuina di Timbuktu la sistemiamo qui davanti, tra il pappagallo colombiano e la sabbia imbottigliata di Jesolo Lido, che poi vi racconto. 

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