Non una qualunque

Mi piaceva troppo rimanere ad osservarla. 
Curva nell'impermeabile nero incappucciato fino alle  orecchie con la sciarpa rigorosamente nera a serrarle naso e bocca come in pieno inverno, in piena pandemia, in doverose restrizioni, frugava nei suoi sacchetti. Lei lo sa che il coronavirus sceglie benissimo le sue prede.
La sua bicicletta era un piccolo store ambulante fatto si sportine, borsette di nylon, contenitori di plastica con crocchette di tutti i tipi, e la scopa, scrupolosamente tra il manubrio e il portapacchi. Le serviva per pulire il viale in cui passava, dopo aver compiuto il suo valoroso lavoro: quello di sfamare i meravigliosi gatti selvatici del nostro ospedale. Vivono nel parco che ossigena, come un polmone, tutto il complesso in cui sorge il nostro mastodontico nosocomio. 
Molti la chiamano gattara, alla romana, in gergo quasi dispreggiativo, ma io preferirei dirlo alla fiorentina, gattaia, che mi suona più dolce. Così nell'indecisione, la chiamerò alla trevigiana, "mamma dei gatti", come nei libri del Conte Dossi.
I gatti sono davvero tanti qui. Puntuali, ogni mattina la aspettano come uccellini sul nido. Si lasciano avvicinare solo da lei; anche quel meticcio grigio dal pelo lungo che vedrei benissimo sul mio divano in pendant con i cuscini color topo. Fa lo slalom tra le sue gambe, striscia il musetto sulle caviglie e dopo aver ricevuto la sua razione di crocchette o altri scarti, si mette seduto a schiena dritta a leccarsi i baffi, guardando la sua mamma scopare il vialetto.  
Sono arrivata prima a lavoro oggi, ecco perchè ho potuto osservarla bene e a lungo. 
Un attimo prima il sole l'aveva illuminata passando tra i rami e un attimo dopo si era raffreddato e si era spento. Non perchè fosse nuvoloso. La "mama dei gati" si era mimetizzata tra i cespugli dalle fronde verde scurissimo, come se fosse sprofondata in una coperta di foglie.
Se a qualcuno può sembrare una persona fuori tempo e fuori luogo vi assicuro che non è così. La mamma dei gatti è una volontaria. Lo conosciamo bene questo valore, ora più che mai.
Si è accorta di me dopo diversi minuti. Mi ha sorriso leggermente, come per proteggersi da qualunque tipo di empatia, scoprendosi appena il capo. Aveva una folta chioma di capelli canuti pettinati frettolosamente, o forse nemmeno pettinati. Riuscivo ad immaginarla a casa sua, in una sedia impagliata, sbarazzandosi della malinconia preparando sacchetti, ad aspettare la sera. La vedevo masticare svogliata, triturando l'insalata, i pomodori e l'uovo sodo come se avesse avuto i denti di pietra. Non ce li aveva i denti. 
Mi guardava sbieca, si sarà chiesta chi fossi. Avrei voluto andare là e stringerle la mano, complimentarmi con lei e dirle che adoro i gatti. 
Se ne è andata in fretta, abbracciata alle buste di nylon e alla sua scopa. La gonna a pieghe si incastrava sui raggi della ruota alle prime pedalate. Tornerà domani, come ogni giorno di ogni mese da anni. E i suoi gatti la aspetteranno ancora, come si aspetta un sogno, per citare Coelho. 
È utile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende qualcun altro, ma non uno qualunque, sia che ci si trovi in un deserto o in una grande città, o tra le grate di un ospedale di periferia contornato da un bellissimo giardino. E quando questi due esseri s'incontrano e i loro sguardi s'incrociano, tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza. Esistono solo quel momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose, in questo cielo di primavera, sono state scritte dalla stessa mano, la mano che risveglia l'Amore altruista e che ha creato un'anima gemella per chiunque cerchi i propri tesori sotto un raggio di sole. Che se tutto ciò non esistesse, non avrebbero più alcun senso i sogni dell'umanità. E nemmeno i gatti.

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