La signora col cappotto verde

“Il solito!”. La signora con il cappotto verde bottiglia, ordina un caffè al cameriere indaffarato. Né macchiato né pulito. Il caffè della signora in verde è un americano in tazza maxi con panna montata e scaglie di cioccolato fondente. Niente male per essere il brunch delle undici e mezza. Il giovane e avvenente cameriere, strizzato nella camicia bianca dal colletto ingiallito, prepara un vassoio con qualche pasticcino di contorno all’ordinazione della signora. I soliti, penso. Pasta frolla con crema di gianduia vedo. Il tavolino scelto dalla conturbante signora è l’ultimo in fondo alla sala. Io osservo la scena da metà corridoio, in piedi sul bancone, sto bevendo un banalissimo cappuccino con croissant, il mio pranzo.
La signora si sfila il cappotto di lana dai bottoni dorati con estrema eleganza, appoggiandolo sulla panca imbottita, accanto alla sedia. Scioglie la pashmina dal collo e la adagia delicatamente sulla spalliera. Prende il quotidiano con due mani dal tavolino accanto, lo appoggia stranamente sulla sedia e si siede sopra, dando le spalle al pubblico, con la faccia rivolta al muro bianco dove un quadro del Giorgione mostra le tre età dell’uomo. Quella di ricoprire la seduta è una strana fobia batterica di chissà quale patologia psichica, penso, oltre alla paura di sporcarsi i pantaloni beige.
Noto che la signora indossa ancora i guanti neri, in pelle, nonostante i quaranta gradi del locale per le luci alogene. Del resto fuori la temperatura polare gela anche la punta del naso. Il cameriere giunge al tavolino con la mano sotto al vassoio, elevato in aria per farsi spazio tra la gente seduta lungo lo stretto corridoio. Lei ringrazia e bofonchia non so che, ma vedo il cameriere chinarsi adagio su di lei, prendere una bustina di zucchero, aprirla con l’eleganza di un elefante, versarla sulla panna montata, afferrare il cucchiaino e tentare di mescolare tutta quell’opera d’arte che cola sul piattino e giù sul tavolo. In panne, il cameriere inesperto, corre a prendere un panno umido prima che il torrente di panna montata finisca sul cappottino di cachemire. Troppo tardi. La signora impalata indietreggia sulla sedia per non sporcarsi mentre il rigolio di caffè e panna liquefatta intridono un bottone dopo l’altro del cappotto. Non riescono a credere alla scena i miei occhi spalancati. Chissà perché non si sfila quel paio di guanti la signora integerrima!. La toilette, giù dalle scale che affiancano il suo tavolo, richiama il mio desiderio di minzione impellente. In realtà, le persone strane attirano da sempre la mia curiosità e vorrei avvicinarmi alla signora per studiarla meglio, come se volessi farne un quadro. Osservare le persone da vicino, come fa un fotografo con i suoi soggetti, descriverle e raccontare di loro riempie le mie giornate tristi, tutte uguali. Decido di avventurarmi. “Scusi signorina!”, mi ferma la signora mentre incredula arresto il mio passo e le sgancio un sorriso di cortesia. “Potrebbe farmi un piacere?”, mi chiede. Un’anonima interessata come me attira la sua attenzione? Chissà cosa vorrà chiedermi. “Certo mi dica”, rispondo educatamente.
“Mi aiuterebbe a sfilare i guanti?”. Basita, mi avvicino al suo tavolo chiedendomi come diavolo non possa farlo da sola. Afferro prima le dita della mano destra. Rigide. Plastificate. Dal polso alla punta delle dita, la protesi mi lascia senza parole e nell’imbarazzo più totale l’aiuto nel gesto. Che pena provo per lei. Tuttavia la signora non sembra affatto a disagio e sorride simpaticamente.
“Posso offrirle un caffè per ringraziarla?” mi chiede con gentilezza.
“Volentieri signora, senza panna montata però”, sottolineo.
E come due amiche da sempre, iniziò a raccontarmi tutta la storia della sua vita…

Commenti

SCRIVIMI SE VUOI

Nome

Email *

Messaggio *